Mercoledì 8 Maggio 2024 - Anno XXII

La piccola, grande “storia” di Aquilonia

Aquilonia parco-archeologico-carbonara

Su queste terre, ai tempi di Federico II di Svevia, si coltivava il grano e si praticava un’attività insolita: la raccolta di piume di avvoltoi per farne la coda dei dardi di balestra. Il nome del paese sembra evocare grandi uccelli e fasti imperiali

Aquilonia Particolare di un palazzo dell'antica Carbonara
Particolare di un palazzo dell’antica Carbonara

L’auto si arrampica sinuosa tra le curve della Strada Statale 401 e tutto intorno, a perdita d’occhio, si estendono colline tonde e spoglie coltivate a grano. Il tempo della mietitura è passato e sulla terra nuda il sole di fine estate diventa rovente, generando venti e correnti locali sapientemente sfruttati dai rapaci in volo e dai più moderni impianti eolici che sorgono a centinaia.
E’ questo il confine orientale della provincia di Avellino, ma l’orografia e il paesaggio ricordano molto più l’aspra Basilicata che la rigogliosa Irpinia. Questa è una terra di confine, appunto, un cuneo che, incurante delle divisioni amministrative, guarda verso il monte Vulture e i laghi di Monticchio da una parte e verso l’appennino Dauno e il Tavoliere delle Puglie dall’altro.

Un paese d’antico lignaggio

Aquilonia credit http.stravel.fanpage.it
Aquilonia credit http.stravel.fanpage.it

Aquilonia è a prima vista un paese sradicato. L’architettura anni cinquanta delle sue case basse e la pianta squadrata delle sue strade stridono violentemente con il suo nome e con le sue origini che risalgono agli osci e ai romani, che qui arrivarono nel 293 a.C.
Il vecchio centro abitato fu spazzato via da un terremoto e abbandonato nel 1930 e il nuovo insediamento, costruito in un luogo ritenuto più sicuro, per certi versi, non ha avuto maggior fortuna. Le piccole case unifamiliari della ricostruzione furono realizzate in pochi mesi, ma di recente sono state rimosse per far posto a moderni fabbricati; sembra proprio che il paese sia destinato a un oblio della memoria urbanistica. Forse proprio per questo i cittadini di Aquilonia e alcuni appassionati di storia locale hanno dato vita a certe iniziative culturali che già nei nomi evocano il trauma dello sradicamento patito. Il museo etnografico “Città della Memoria” e il “Museo delle Città Itineranti”, sono i nomi di due belle realtà che fanno di questo centro, servito a una ventina di chilometri dall’uscita di Vallata dell’autostrada Napoli-Bari, un’interessante opportunità per conoscere la storia, la vita rurale e l’antropologia non solo di Aquilonia, ma di tutte le zone interne della valle dell’Ofanto e del sud Italia.

Dai Borboni all’unità d’Italia

Carro per il trasporto del grano credit www.sistemamusealeirpino.it
Carro per il trasporto del grano credit sistemamusealeirpino.it

“In un certo senso anche nel nome Aquilonia riporta una sorta di destino all’oblio” – spiega Dario Ianneci, aquilonese di origine e di adozione, che ha dedicato molti studi e pubblicazioni sulla storia e l’antropologia locale – “L’Aquilonia sannitica probabilmente sorgeva nei pressi dell’attuale Lacedonia e questo paese si è chiamato Carbonara fino al 1860. L’unità d’Italia scatenò delle contraddizioni sociali profonde. A Carbonara il 21 Ottobre del 1860, proprio il giorno del plebiscito unitario, scoppiò una cruenta reazione filo-borbonica in cui furono assassinati alcuni signori locali e dato il sacco all’intero paese. Fu in conseguenza di questo episodio che la nuova classe dirigente locale volle imporre il cambiamento del nome da Carbonara ad Aquilonia, per cancellare la memoria della rivolta antiunitaria, richiamando i fasti dell\’antica città sannita”.

© 2017 Ministero dei beni
© 2017 Ministero dei beni

Mentre Ianneci spiega, entriamo nel museo etnografico, fondato nel 1996 da Beniamino Tartaglia, di recente scomparso, e immediatamente le profonde radici contadine del posto rivendicano un’identità che né le delocalizzazioni, né i cambiamenti di nome possono cancellare.
Le prime sale sono dedicate alla coltivazione e alla raccolta del grano. Gli attrezzi non sono semplicemente esposti in collezione, ma vengono impiegati per ricreare un ambiente e un’atmosfera reale e quasi sembrano prendere vita e riflettersi nelle immense colline che abbiamo visto arrivando. In queste sale, per ironia della sorte nate per un asilo infantile in un paese spopolato dall’emigrazione, ben tredicimila oggetti non solo creano, forse, il più ricco museo della cultura contadina del nostro paese, ma con sapienza filologica ricostruiscono tutti gli aspetti materiali, sociali e culturali di un mondo rurale millenario, dissoltosi in pochi decenni di contemporaneità.

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Una “vita” zeppa di oggetti

Carro per il trasporto del grano
Carro per il trasporto del grano

Gli aratri, le falci, i falcetti, gli strumenti per la trebbiatura e la misura del grano raccontano la loro primordiale tecnologia lentamente evolutasi, ma anche gli aspetti sociali e antropologici di un mondo che ruotava intorno alla terra e ai suoi frutti.
“Il grano rappresentava una sorta di moneta corrente”, racconta una delle guide, che in questo museo sono gli anziani del posto, capaci di dare al visitatore l’eco del proprio vissuto e di rendere ancora più viva e vera la visita. “Anche i beni d’uso quotidiano o di consumo venivano spesso pagati in grano. Il nostro vecchio medico, quando non esisteva l’assistenza sanitaria pubblica, aveva con mio padre una sorta di abbonamento. Cinquanta chili di grano in cambio dell’assistenza a tutta la famiglia per un intero anno. I più poveri del paese chiedevano grano in prestito ai latifondisti.

Misurazioni per il prestito e la restituzione del grano
Misurazioni per il prestito e la restituzione del grano

La misura del grano avveniva con dei recipienti: quando il grano veniva prestato la misura era riempita fino all’orlo, ma al momento della restituzione la misura era ricolma e la differenza, circa il quindici per cento in pochi mesi, rappresentava l’interesse del signore. Il museo si snoda lungo centotrenta ambienti, raggruppati in dodici aree tematiche che vanno dalle attività agricole alle tradizioni popolari, dalle produzioni alimentari ai mestieri, dal materiale archeologico di epoca sannitica, romana e longobarda, ritrovato nella zona, ai primi esempi di industrializzazione”.
A parlare è Vito Coppola, uno dei curatori del museo, che nell’area dedicata alla  ricostruzione di una taverna mostra una piccola curiosità. Un pezzetto di ramo è diviso longitudinalmente in due parti. Delle tacche incidono entrambe le parti del ramo e funzionavano da ricevuta delle consumazioni fatte per l’oste e per il cliente.  “A fine serata – spiega Coppola – i segni dei due pezzi di ramo dovevano combaciare, altrimenti qualcuno aveva barato!”.

Quando la “comunità” era istintiva

La bottega del ciabattino
La bottega del ciabattino

Il museo (www.aquiloniamusei.it) si estende su mille e cinquecento metri quadri e oltre a una collezione sterminata, vanta anche una piccola officina per il restauro dei beni esposti e che in continuazione vengono donati da chi se li ritrova in casa e non vuole far spegnere la memoria di come si viveva ad Aquilonia e nel circondario.
“Non vi è aspetto, anche minimo, della vita della comunità di una volta che non vi sia rappresentato” – spiega Coppola – “Siamo aperti tutto l’anno e per le scolaresche o gruppi di visitatori possiamo offrire dei percorsi didattici che permettono di approfondire uno o più temi del museo. Ad esempio, per quanto riguarda l’agricoltura, abbiamo delle animazioni pratiche che permettono di sperimentare ben ventotto attività della vita nei campi, organizzate secondo il calendario e il ciclo naturale dell’anno. Abbiamo realizzato cinquantadue ambienti dedicati ad altrettanti tra mestieri e professioni del passato”.
E c’è di tutto. Dal falegname al ciabattino, dal veterinario al praticone in grado di sanare le ossa rotte, dal barbiere all’omino che con fil di ferro e mastice riparava i piatti rotti.
E’ davvero impossibile riportare la varietà degli aspetti della vita raccontati dal museo, ma alla fine della visita si ha la sensazione di non aver soltanto visto oggetti del nostro passato remoto e recente (distanze temporali che nel mondo rurale sono in un certo senso ravvicinate) ma di aver vissuto quelle realtà. Due esempi per tutti: la classe e l’abitazione contadina.

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Scuola e casa. Nuclei di civiltà

La classe
La classe

Una cattedra, due banchi, qualche misero oggetto di cancelleria, la bacchetta del maestro, le bacche di sambuco che disciolte in acqua diventavano una sorta d’inchiostro e al visitatore, a seconda dell’età e del vissuto personale, sembra di rivivere la scuola propria, quella dei nonni, quella della favola di Pinocchio o quella di qualche film in costume.
La riproduzione di una povera abitazione rurale, con a fianco la stalla per gli animali domestici e da lavoro, riunisce in pochi metri quadri quello che da sempre è l’indispensabile per l’esistenza.
Un letto, un fuoco, una credenza e una culla – sospesa in aria per facilitare il dondolio e ostacolare l’insediarsi di topi e altri animali – e al di là del comfort, un qualche sentimento primordiale riaccende nel visitatore la sensazione calda e intima della protezione e dell’affetto.
Probabilmente i modi per visitare il museo sono due, e dipendono dal visitatore. Per chi ha nella propria storia personale e familiare una qualche eco del mondo contadino vale, forse, la pena di girare per le sale lasciando che siano gli oggetti a stimolare la memoria. Per chi, invece, si avvicina per la prima volta a queste realtà, i percorsi didattici, le didascalie e la guida degli anziani non sono solo un modo per sapere di questi oggetti, ma gli strumenti quasi magici che rimettono in vita quanto esposto.

Aquilonia, capitale delle “città itineranti”

Aquilonia Veduta aerea del parco archeologico
Veduta aerea del parco archeologico

Dove sorgeva il paese distrutto dal terremoto del 1930, da qualche anno è sorto un parco archeologico che ripropone intatto il vecchio tracciato urbano. Si tratta di una sorta di Pompei contemporanea nella quale gli edifici e la vita quotidiana non sono sprofondati nella lava, ma nei depositi del tempo e degli uomini che nel secondo dopoguerra avevano fatto del paese abbandonato una discarica.
L’opera di scavo e di riscoperta crea un paesaggio surreale, nel quale le facciate delle costruzioni rimaste in piedi sembrano quinte cinematografiche e in cui il paese “congelato” dal sisma fa apparire come tute extraterrestri il moderno abbigliamento di chi lo visita.
Tra i resti si scoprono la pavimentazione della Piazza del Municipio, i palazzi dei potenti locali con le loro ampie stanze ricche di decorazioni in pietra; le carceri, le chiese e il vecchio albergo. Quest’ultimo edificio è stato recuperato all’uso ed è diventato sede del secondo museo del paese: il “Museo delle Città Itineranti”.

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Aquilonia Uno scorcio di Piazza del Municipio
Uno scorcio di Piazza del Municipio

In questo spazio è documentata non solo la vicenda di Aquilonia, ma quella di diversi paesi d’Italia che a causa di eventi sismici sono stati delocalizzati. Foto d’epoca, filmati dell’Istituto Luce e cronache giornalistiche dei giorni del terremoto, raccontano la distruzione delle case e della vita, ma anche il lento risorgere della comunità.
Con l’area archeologica e con le immagini conservate nel museo, il visitatore, e prima ancora il cittadino di Aquilonia, ricrea la memoria architettonica e urbanistica del paese. In qualche modo risolve il trauma di quella emigrazione forzata di poche centinaia di metri in linea d’aria, ma non per questo meno profondo. Uno strappo che ancora oggi appare evidente in chi arriva nel centro abitato, dove l’unica traccia del passato è nel portale in pietra cinquecentesco trapiantato su una chiesa in cemento armato o nei pavimenti di qualche abitazione del centro storico riciclati nel nuovo insediamento.
Nella bella stagione la Piazza e quanto rimasto in piedi della vecchia Aquilonia fanno da sfondo a spettacoli e manifestazioni, mentre guardando giù, verso la valle dell’Ofanto e del suo affluente Osento, l’occhio spazia e coglie i dettagli del paesaggio.

Due paesi, un’unica anima

Per le vie del paese distrutto
Per le vie del paese distrutto

Questa è una terra ricca di varietà vegetali (oltre settecento) e animali, tra i quali il lupo, il cinghiale e i rapaci, che in un certo senso rivendicano  la secolare tradizione della falconeria radicata nei vari siti federiciani della zona, a partire dalla poco distante Melfi.
Per le strade dell’area archeologica la rivolta del 1860 sembra ancora risuonare nei portoni signorili e nel racconto delle guide del posto. L’uccisione di nove “galantuomini” da parte della folla inferocita non fu più selvaggia della repressione delle nuove autorità nazionali.
“Alcuni degli insorti” – raccontano le guide – “razziarono le case più ricche di ori e preziosi, ma non ebbero modo di servirsene. In pratica tutti i maschi del paese furono arrestati, alcuni furono processati e condannati, altri inspiegabilmente morirono in carcere prima della sentenza.

Aquilonia Ex Palazzo Stentalis, sede del Municipio, della scuola, dell'istituto bancario e del carcere mandamentale
Ex Palazzo Stentalis, sede del Municipio, della scuola, dell’istituto bancario e del carcere mandamentale

Pochi anni fa in un tronco d’albero è stato rinvenuto un malloppo con numerosi oggetti di valore, che ora sono conservati nel museo etnografico. A giudicare dalla fattura, da alcune sigle incise e dal tipo di oggetti, si tratta quasi certamente di una piccola parte delle cose razziate”.
Nel nuovo paese pochissime delle case unifamiliari della ricostruzione degli anni Trenta sono sopravvissute alle recenti costruzioni; come spiegano in paese, saranno oggetto di un lavoro di conservazione e di valorizzazione.
Per l’epoca quello fu un intervento rivoluzionario, con fabbricati in cemento armato antisismici e dotati dei comfort della modernità. Di certo, perdere la loro testimonianza sarebbe un’ulteriore violenza alla memoria di questo posto. Poco distante, una piccola panetteria usa ancora un forno a legna lastricato di mattonelle bianche per cuocere pane e biscotti. Chi mi ha accompagnato in questo posto, prima di ritornare nella città dove è emigrata la sua famiglia, ne fa una piccola scorta. Ha riscoperto i sapori del proprio passato, proprio come gli aquilonesi hanno fatto con la loro piccola storia.

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