La mitica Langa
La verde valle del Belbo, i sentieri, i prati, rievocano i luoghi, le scoperte e le avventure del futuro prosatore e traduttore della letteratura anglosassone e del nuovo mondo. Costituisce altresì lo scenario naturale di alcune fra le principali opere di Pavese, ambientate in frazioni o cascinali collinari.
A Santo Stefano Belbo la sua casa natale si trova un po’ fuori porta, sullo "stradone" per Canelli, mentre il paesaggio dell’infanzia, il mondo fantastico di vigne, rive e coltivi rimarrà, tra sogno e realtà, una fonte inesauribile. È qui che attinge gli archetipi ancestrali della storia umana che ripropone. Le Langhe (o Langa) diventano un paesaggio mitico, forte di suggestioni per la letteratura contemporanea.
“Pavese ha fatto scendere dall’Olimpo e salire dagli inferi gli dei per farli muovere nelle Langhe, in mezzo a vigne, contadini, rive”, così si espresse Giorgio Bàrberi Squarotti. I falò di primavera evocano quelli sacrificali dell’antica Grecia, mentre le vigne e i campi di granturco diventano luoghi del mito e delle simbologie al di fuori dello spazio e del tempo. “Le colline, con le loro linee sinuose, assumono forme erotiche di attributi femminili, mentre le crepe aride della terra sanguinano” (Franco Vaccaneo).
Nuto, personaggio chiave degli scritti di Pavese
Nuto (al secolo Pinolo Scaglione) artigiano-musicista, amico di infanzia e figura "Virgiliana" dello scrittore, lo conduce tra i sentieri, per le vigne, sulle creste dei colli. Pavese ascolta le storie dei vivi e dei morti di questa valle chiusa dalle colline, dove contano solo le stagioni e il tempo sembra non passare.
Reinventa e trasfigura le storie. Nel suo ultimo romanzo lo chiamò Nuto, diminutivo di Benvenuto, perché giunto nel momento propizio. La sua falegnameria, passata al Comune del paese, costituisce una duplice testimonianza di museo pavesiano e di un’attività artigianale strettamente collegata all’economia vitivinicola di queste terre.
La Langa della storia, delle lotte, della miseria e della fatica dei contadini, diventa così la Langa del mito. Dall’incontro tra il letterato e il falegname nasce "La luna e i falò", il più emblematico romanzo del ritorno e della campagna ritrovata, rivelatore della sua più intima vena. La sua casa natale è in corso di restauro.
Centro Studi “Cesare Pavese”
Occupa uno dei siti più importanti della storia religiosa di Santo Stefano Belbo, il complesso della Chiesa dei Santi Giacomo e Cristoforo, risalente al XIV secolo e successivamente restaurato, rimaneggiato e impreziosito in epoca barocca ad opera dei marchesi di Incisa. “La nuova sede del Centro Studi Cesare Pavese con Museo, Biblioteca e Foresteria, realizzato dall’Arch. Mamino nel 2000” racconta Franco Vaccaneo, Direttore della Biblioteca del centro “è diventata un polo d’attrazione nel nome dello scrittore e della cultura delle Langhe, proiettato in una dimensione universale e connota in modo originale il tessuto urbano di Santo Stefano, dando una nuova ambientazione alla via e al percorso medioevale”. È un modo per mantenere vivo lo studio e il ricordo di Pavese, amatissimo da cultori di tutto il mondo, dopo che l’alluvione del 1994 danneggiò nella precedente sede anche i suoi fondi librari e archivistici.
Il Nuovo Centro, ricostruisce la completa documentazione bio-bibliografica dello scrittore. Ricco di memorie, di manoscritti, lettere e libri della biblioteca pavesiana, con numerosi testi di mitologia classica, dispone di articoli e saggi di critica pavesiana, tesi di laurea. Rappresenta una sfida intellettuale che supera i localismi culturali, instaurando un dialogo tra il paese natio e il resto del mondo. La struttura ospita ventun disegni preparatori alle cinque tele del ciclo “La luna e i falò” (olio su tela) realizzate da Ernesto Treccani nel 1962.
In una vetrinetta del Museo si trova l’edizione con copertina rossa de “I dialoghi con Leuco” su cui Pavese scrisse le sue ultime parole prima di togliersi la vita, nell’albergo Roma di Torino, il 27 agosto 1950: “Perdono tutti e a tutti chiedo perdono. Va bene? Non fate pettegolezzi. Cesare Pavese”.