Pantelleria, per intrigare, intriga. E per piacere, piace, nessun dubbio. Non mancano però, visitandola e mentre decolli dall’aeroporto pensile a mezza costa. Valutazioni e sensazioni ricorrenti che ti fanno pensare a un’isola differente dalle tante consorelle mediterranee che il cronista di viaggi vede e commenta.
In sintesi Pantelleria potrebbe essere definita una destinazione bella e coinvolgente ma “meno turistica”; o per meglio dire, “non particolarmente vocata al turismo” nella sua accezione più comune e attuale.
E ciò non costituisca una valutazione, una componente negativa. Ci sono posti in cui chi viaggia non ricerca eleganza e accuratezze, ne snaturerebbero la tipicità. Parimenti c’è chi ama un turismo non eccessivamente organizzato e raffinato. Un turismo con paesaggi e incontri genuini, non importa se poco curati o presentati in condizioni talvolta precarie. Questa “diversità” attribuita a Pantelleria potrebbe essere ricercata e addebitata a tre distinti motivi: la storia, la posizione geografica e gli abitanti.
Pantelleria, palcoscenico della Storia
Le lontane vicende dell’isola sono movimentate, interessanti e tutto sommato tranquille. Pantelleria fu insediamento preistorico occupato dai Sesioti (attirati dalla richiestissima ossidiana) prima di divenire (IX secolo a.C.) la fenicia Cossyra. A quell’epoca risalgono l’introduzione della vite, il culto di Tanit e la costruzione del porto. Seguirono i Romani (costruttori di fortificazioni e ricche ville residenziali). E poi i Bizantini, sostituiti dal ‘700 al 1200 dagli Arabi (che importarono i dammusi, da “damus” (edificio a volta) le colture di cotone, l’ulivo, l’uva zibibbo e il nome Bent El Riah (figlia del vento). Dopodiché l’isola passò ad Aragonesi, Spagnoli, al Regno delle Due Sicilie cui subentrò quello d’Italia nel 1860.
La storia più recente ha invece segnato Pantelleria con fatti bellici gravi e devastanti. Tutto cominciò negli anni Trenta del secolo scorso. L’isola – grazie alla posizione strategica sulle rotte del nord Africa – divenne una roccaforte militare. Roccaforte talmente munita da far dichiarare a Mussolini che l’Italia non aveva bisogno di portaerei, sia per la stessa geografia dello Stivale sia perché già ne possedeva una, inaffondabile e inespugnabile: Pantelleria.
Una “corazzata” sfortunata
Purtroppo per le sorti del Belpaese, il duce che “aveva sempre ragione” in questo caso la ebbe soltanto a metà; né sarebbe stato tanto facile affondare un’isola di ottantatre chilometri quadrati, terza per superficie delle isole minori italiane.
Perché l’11 giugno 1943 Pantelleria fu espugnata dagli Alleati, senza incontrare resistenza; secondo Montanelli, nella sua Storia d’Italia, si lamentò un solo caduto e per di più per il calcio di un mulo: evidentemente – e si potrebbe anche dire fortunatamente – tra le virtù guerresche nostrane e quelle dei Samurai giapponesi intercorre una certa differenza, basti pensare a quanto accaduto poco dopo su un’isola del Pacifico chiamata Iwo Jima.
I beffardi furori della guerra
Pressoché incruenta risultò la conquista, ma tremendi furono i danni arrecati, anche per motivi beffardi non meno che curiosi. Almeno a dar retta a qualche vecchio pantesco. Si dice che gli Angloamericani distrussero volutamente con la dinamite gran parte dell’omonimo capoluogo principale. Il paese, per inviare una documentazione fotografica di tanta devastazione agli abitanti della “conquistando” Sicilia, a monito e minaccia di identico trattamento nel caso di resistenza al loro sbarco (avvenuto un mese dopo).
Purtroppo per Pantelleria (come peraltro ovvio, visti i tempi grami del secondo dopoguerra e le troppe distruzioni) la ricostruzione della sua “minicapitale” non fu particolarmente accurata. Solo recentemente l’antico castello opportunamente ristrutturato abbellisce il panorama del porto. Ne risultata che il visitatore a passeggio nel paese (in cui vive gran parte dei circa ottomila abitanti dell’isola) resta deluso per l’assenza di stradine e angoli caratteristici, invece presenti in altre località mediterranee risparmiate dai furori della guerra.
Africa a “vista”, dall’isola
Come accennato, oltre che per motivazioni storiche la “diversità” di Pantelleria è anche dettata dalla sua geografia. Oggidì aerei e navi veloci riducono le distanze, ma nel passato i centodieci chilometri, ottantacinque dall’Africa, ( nelle giornate limpide da punta Fram si nota Capo Bon), di un mare spesso agitato (frequenti la tramontana d’inverno e lo scirocco d’estate) che separa l’isola dalla più vicina costa siciliana (Mazara), ne hanno ritardato lo sviluppo economico.
Tuttora non abbondano le attività imprenditoriali, anche di modeste dimensioni e risulta pressoché inesistente la pesca; gli abitanti si definiscono “agricoltori” e simpaticamente aggiungono “fatalisti”, nel senso che, potendo fare ben poco per procurarsi l’acqua piovana destinata ai campi, altro non resta loro da fare che aspettare.
Parimenti anche le strutture turistiche (non si fa riferimento ai soli alberghi ma si parla anche di trasporti, ristoranti, divertimenti, shopping) sembrano prive di quella “aggressività”, collegata ad efficienza e organizzazione, necessaria per raggiungere obbiettivi soddisfacenti.
Mare dappertutto, ma di accesso non facile
Pantelleria, soprattutto se visitata in primavera, stagione perfetta in tutta l’area del Mediterraneo, soddisfa comunque tanti “turismi”. Ovviamente e in primo luogo, quello balneare, che garantisce un mare ovunque cristallino e sempre invitante (nel caso di vento e onde, la morfologia e le dimensioni dell’isola permettono un facile spostamento sul litorale più tranquillo). Un mare, però, un filino difficile, a causa di coste “selvagge”, prevalentemente rocciose, sovente non percorribili.
Evidentemente le origini vulcaniche di Pantelleria sono piuttosto recenti (ultima colata lavica con eruzione dal mare, nel 1891 a Gelkhamar) e anche alla natura occorre un certo tempo per modellare spiagge e calette facilmente raggiungibili.
Con tante coste che non abbondano di porti naturali (solo due, il Paese e Scauri, antico approdo romano) in un perimetro di cinquantadue chilometri, con trecentoventi chilometri di strade percorribili, il turista dovrà pertanto ricorrere alle proprie conoscenze geologiche e logistiche per raggiungere l’agognato mare.
L’impronta araba
Oltre alla vita balneare il viaggiatore può dedicarsi al turismo culturale, all’insegna di una storia di Pantelleria così complessa e importante da imporre la sommaria e veloce elencazione riportata nelle righe precedenti. Intrigano i toponimi e i nomi di alcuni monumenti e insediamenti, testimonianza del passaggio di genti di provenienti da ogni angolo del Mediterraneo. Prevale (ovvio, stante la vicinanza delle coste tunisine) la presenza araba: i già citati Dammusi; le Kuddie, antichi crateri; le lave del Khaggiar; Bukkuram; Kafefi; Farkhikhalà, ma non mancano le tombe bizantine a Scauri e alla Piana di Ghirlanda, i tumuli nella zona archeologica dei Sesioti, la località Balata dei Turchi all’estremità sudest, l’Acropoli del Paese (in cui furono ritrovate tre teste in marmo di Agrippina). E non vanno dimenticate le tante chiese e chiesette (una apre soltanto il lunedì di Pasqua) risalenti soprattutto al XVII e XVIII secolo.
Dove Venere “insidiava” Bacco
Chi ama la natura visiterà Pantelleria in aprile e maggio, per ammirare campi e prati simili a una tavolozza di colori messi in risalto dal nero della roccia lavica; nel resto dell’anno palme e cactus ricordano che non si è poi così distanti dai Tropici.
E data l’origine vulcanica dell’isola (sovrastata dagli ottocentotrentasei metri della Sciaghibir araba, la Montagna Grande) non mancano fenomeni naturali di grande bellezza. Eccelle il lago Specchio di Venere, un bacino (massima profondità dodici metri, due sopra il livello del non distante mare, a forma di cuore, alimentato da acqua di sorgente ricca di zolfo, silicio, potassio, cloruro di sodio: una sorta di mini terme con fanghi a disposizione dell’escursionista.
Un posto così attraente meriterebbe forse migliore presentazione e promozione, fosse solo per l’invitante abbinamento di interessanti fenomeni della natura a romantiche leggende mitologiche (prima di presentarsi a Bacco – con finalità evidentemente amorose – Venere controllava se tutto era in ordine specchiandosi nelle calme acque del Lago).
Natura, Foca Monaca e Asino Pantesco
L’Offerta “natura” di Pantelleria comprendente la policroma flora e i misteriosi fenomeni vulcanici è completata da una fauna che riserva due curiosità.
La Foca Monaca, da molti ritenuta estinta nel Mediterraneo, ha fatto la sua ricomparsa nel 1998, 2000 e 2003.
Certa e facilmente verificabile è invece la presenza dell’Asino Pantesco, una razza autoctona a rischio si estinzione e reintrodotta da un programma pilota dall’Azienda regionale delle Foreste demaniali.
Cibo spezie e vini. Tutto genuino
Un viaggio è monco se il viaggiatore torna abbronzato e graficamente documentato, ma il suo palato è privo di piaceri assaporati. In tema di gastronomia Pantelleria non eccelle in quantità ma ciò che propone è valido, genuino e soprattutto ridonda di profumi e sapori come la posizione geografica e la natura dell’isola comandano.
In primis si degusti il pesto Pantesco, una sinfonia di profumi diretta da polpa di pomodoro fresco e orchestrata da olio, aglio, basilico, prezzemolo, capperi, sale e pepe.
Non si spreca tempo visitando una panetteria (con tanti profumi nell’aria, su tutti il sesamo) né gustando la Tumma, fresco formaggio dai sapori artigianali.
Ma in tema di piaceri del palato la carta vincente dell’isola è costituita dai vini, in primo luogo l’inebriante Passito, poi lo Zibibbo e bianchi da tavola, uvaggi in cui predomina il Cataratto.
Il “sigillo” di Marquez
Pantelleria, un’isola, si diceva, “diversa”, forse più “intima” delle consorelle sparse intorno alla Sicilia, laddove per intima si intende un posto forse poco sensibile alle esigenze (ordine, luci e “rèclames”) del turismo moderno, prevalentemente alberghiero e invece più disposto a ospitare case non appariscenti e nascoste, anonime residenze di vip e guru.
Se poi la descrizione di un luogo deve essere abbellita da un “garn finale” letterario, è il caso di cedere la parola a Gabriel Garcia Marquez: “Non c’è altro posto sulla Terra che faccia pensare alla luna così come Pantelleria; ma Pantelleria è più bella”.