Napoli, babà, pastiera, struffoli, mozzarella di bufala, pizza, spaghetti, sfogliatelle, vini Capri ed Epomeo, limoncello. Questi sono alcuni dei prodotti semplici di questa terra che ci vengono in mente così, senza troppo pensare, senza ricercare nei “file” della memoria gastronomica piatti ricercati, pietanze di elaborata “nouvelle cuisine” o vini dai nomi altisonanti. A chi, se non a un napoletano estroso, sarebbe venuto in mente di combinare la pasta del pane col pomodoro e la mozzarella per confezionare la pizza, il più famoso piatto del mondo? Chi poteva inventare gli spaghetti (un primo nutriente, sano, che si sposa con ogni tipo di sugo) se non un napoletano creativo e geniale? Questa terra è la patria delle grandi invenzioni culinarie, dei piatti solari, dei cibi facili e pieni di sapore che hanno fatto grande e famosa la cucina italiana nel mondo.
Da Spaccanapoli i profumi della cucina
Il cuore della gastronomia campana è tutto racchiuso nel golfo di Napoli, abbracciato dalle isole di Ischia e Procida a nord e dalla penisola Sorrentina e da Capri a sud. In quest’area di “prime donne” del turismo campano sono passati greci e romani, Angioini e Borboni, creando nel tempo un percorso culinario nobile, aristocratico, al quale si è mescolato l’estro popolano partenopeo che con pochi ingredienti quali pomodoro, pasta, pesce, olio e verdure, ha dato vita a piatti semplici e geniali, universalmente noti.
Nei vicoli di Napoli, dai Quartieri Spagnoli a Forcella, tra i panni stesi e le finestre aperte dalle quali fuoriescono le note delle canzoni di Mario Merola e Gigi D’Alessio, si levano i profumi del ragù napoletano, della salsa di pomodoro e basilico, della pizza, della mozzarella in carrozza, in una sorta di menù olfattivo – quasi un’atipica sindrome gastronomica di Stendhal – che allieta e satura in abbondanza i cinque sensi.
Napoli, i cibi cantati da poeti e scrittori
Persino il grande Eduardo De Filippo non poté fare a meno di decantare le virtù della cucina partenopea, dedicando al ragù napoletano addirittura una poesia nella quale esortava la moglie a cucinare il famoso sugo secondo la ricetta di “mammà” e non a preparare un insulso intingolo di carne cotta semplicemente unita alla “pummarola”.
Napoli, i colori della cucina
Nell’ideale tavolozza di colori con i quali si dipingono i quadri della cucina del Golfo di Napoli, spicca il bianco candido della mozzarella di bufala, il giallo intenso della pasta di grano duro (spaghetti, zite, perciatelli, lasagne, paccheri, fusilli, linguine, vermicelli) il verde del basilico, il marrone del babà, il rosso del pomodoro. Ed è proprio grazie a quest’ultimo conosciutissimo ingrediente, il pomodoro, che tutto il ricettario napoletano, nel corso degli ultimi due secoli è mutato, trovando quel verso finale e perfetto che mancava al poeta.”La scoperta del pomodoro ha rappresentato nella storia dell’alimentazione quello che, per lo sviluppo della coscienza sociale, è stata la rivoluzione francese.” Sono parole del napoletanissimo scrittore Luciano De Crescenzo, parole che danno il giusto risalto all’importanza di questo ortaggio dal sapore unico e adattabile alla maggior parte delle ricette mediterranee.
A Napoli il pomodoro è il re degli ingredienti
Importato intorno al Cinquecento dal Sud America, ma adoperato in larga scala solo dall’inizio dell’Ottocento, il pomodoro è divenuto il sovrano della tavola partenopea. Il suo sapore costituisce la base del sugo alla “pummarola” e del ragù, ingrediente indispensabile dell’insalata caprese e del coniglio all’ischitana. Come è possibile poi pensare alla pizza senza il pomodoro? Questa stupenda variante della focaccia ha visto i suoi natali proprio a Napoli, inventata il 15 giugno del 1889 dal pizzaiolo Esposito per celebrare la visita nel capoluogo campano della regina Margherita di Savoia, da cui poi prese il nome. E gli ingredienti non furono disposti a caso, ma furono un patriottico omaggio al tricolore italiano: verde del basilico, bianco della mozzarella e rosso del pomodoro!
Specialità isolane
Le isole di Ischia e Procida, oltre che per la storia che le caratterizza, il mare splendido che le circonda, sono di fatto due “vicine di casa” della gastronomia partenopea, con piatti divertenti e gustosi. Ischia è famosa per il suo pesce freschissimo e per una ricetta tipica dell’isola: il coniglio all’ischitana, di cui esistono ben quattro varianti. Di Procida va ricordata la particolare preparazione del “pesce fujuto” (il pesce fuggito) un piatto nel quale, come dice il nome, il pesce non c’è. Questo controsenso gastronomico, tutto partenopeo, non è altro che una sorta di bruschetta preparata con una “fresella” insaporita con olio, aglio, prezzemolo, peperoncino, con l’aggiunta finale di qualche cucchiaio di acqua di mare. Anche la “parmigiana di melanzane” è un piatto tipicamente procidano, a base di melanzane fritte, condite poi a strati con mozzarella, pomodoro, succo e scorza di limone e quindi passate in forno. Famosi primi piatti isolani sono i bucatini e gli spaghetti conditi con sugo di coniglio selvatico, presente nell’isola dal tempo di Carlo di Borbone che fece di questo scoglio una sua esclusiva riserva di caccia. Non vanno dimenticati i limoni procidani, dalla buccia grossa ma succosi e dolci, usati per il classico e profumato “limoncello”, per rosoli e per i freschi e digestivi sorbetti.
Pasta e pesce con fantasia
Sorrento ha dato i natali ad uno dei più famosi e succulenti primi campani: gli gnocchi di patate alla sorrentina, conditi con salsa e tocchetti di pomodoro fresco, mozzarella, origano, basilico, formaggio e gratinati al forno. Dalla mondana Capri ci giungono ricette che hanno risonanza mondiale come l’insalata caprese (pomodori, basilico, mozzarella, olio, origano e sale) uno dei “must” della dieta mediterranea. I ravioli alla caprese, con il loro morbido ripieno di caciotta, uovo, formaggio e maggiorana; le cozze al forno, i polipi veraci all’aglio, le alici in tortiera, sono alcune delle numerose e antiche creazioni nate all’ombra dei faraglioni.
Le delizie del dopo pasto
Ma Napoli, le sue coste e le sue isole, significano anche dolci; e che dolci! Le sfogliatelle (ricce o frolle), la pastiera profumata di fiori d’arancio, nata come offerta per il suadente canto della sirena Partenope che abitava nel golfo, i mielosi struffoli, le ammalianti zeppole sorrentine, i mustacciuoli, i rococò, i susamielli, le procidane lingue di bue (paste sfoglie farcite di crema pasticcera o al limone), i divinamore (pan di spagna ricoperto di glassa rosa), il sontuoso babà al rum o al limoncello…
In questa kermesse di sapori non vanno dimenticati i delicati vini partenopei, quali il Capri, il Lacrima Christi vesuviano, l’Epomeo e il Biancolella di Ischia. E per finire un bel caffè, magari fatto con la tradizionale caffettiera napoletana, con acqua buona e poco calcarea, utilizzando una miscela asciutta e ben torrefatta e sorbito rigorosamente in una “tazzulella”, con un cucchiaino o due di zucchero, per rendere la vita meno amara.
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