Viva Villa dappertutto
“Vieni, ti faccio vedere una cosa”. Don Beto, custode da sempre dell’Hacienda de la Loma, si fa largo tra fucili arrugginiti e bandi rivoluzionari fino a una lapide di marmo nero: “Qui, nell’antica hacienda della Loma, il 29 settembre 1913, il generale Francisco Villa fu nominato generale in capo della Division del Norte. Da qui partì la presa di Torreòn, che decise il trionfo della rivoluzione messicana”. Forse è per questo che a Durango, la capitale dello stato, a Villa è persino dedicato un supermercato dal beneaugurante nome di “Viva Villa”.
Più a nord, a Zacatecas, turisti e locali si fanno immortalare travestiti da villistas sotto il monumento in cui Villa cavalca ancora, insieme ai suoi fedeli luogotenenti, sul Cerro de La Bufa, la collina che sovrasta la città, a ricordo della battaglia in cui sbaragliò le truppe governative, aprendo la strada alla conquista della capitale.
In basso si alzano le eleganti torri di pietra rosata della cattedrale di Zacatecas, capolavoro del “churrigueresco”, il barocco messicano popolato da orchestre di angioloni barocchi e santi benedicenti.
Alla sera, quando il sole scivola via dalle facciate di palazzi, alla luce teatrale dei lampioni, si materializza uno scenario di porte che si aprono su paradisi segreti, popolato di volti e bambine che si affacciano ai balconi con i vestiti della festa. Dal fondo di un vicolo il tun-tun dei tamburi di una “callejonada” si mischia ai rintocchi delle campane, una tradizione che arriva dal tempo delle miniere, quando dopo la paga i minatori facevano il giro di amici e parenti tirando tardi a far serenate e a raccontarsi il mondo.
Nella capitale, gloria effimera
Nel Messico centrale, davanti al teatro di Aguascalientes, le facce di Villa e Zapata emergono da un bassorilievo in bronzo, a ricordo della mitica “convenciòn” rivoluzionaria del 1917, in cui venne approvata la Costituzione che garantiva la terra ai contadini, un tema che ancora oggi suscita violente passioni. Il momento del trionfo però è quello immortalato in una famosa fotografia in cui Villa e Zapata sono seduti fianco a fianco sulle poltrone dorate del Palacio Nacionàl, il palazzo presidenziale di Città del Messico. La fotografia è più eloquente di qualsiasi saggio, con un Zapata che ostenta l’aria corrucciata di chi teme le seduzioni del potere, e Villa che ha il sorriso soddisfatto di uno che è passato dal furto dei cavalli alla guida di una rivoluzione.
Trionfo apparente, perché dissensi e tradimenti rispedirono presto i due verso le rispettive aree di influenza, Zapata al sud e Villa al nord. Nel palazzo sono rimaste solo le loro immagini, insieme ad aztechi, spagnoli, operai, inquisitori, Benito Juarez e Massimiliano d’Asburgo, tutti insieme nell’allegro girone infernale del grande “mural” di Diego Rivera.